Mare (folclore)
Un Mare (inglese antico: mære, olandese antico: mare, proto-slavo: mara, tedesco antico, norreno e svedese: mara) è una presenza maligna nel folclore tedesco e in quello slavo che si siede sul petto degli addormentati causando loro cattivi sogni (da questo deriva il termine inglese nightmare, "incubo").[1]
Etimologia
[modifica | modifica wikitesto]La parola "mare" deriva dal nome femminile mære dall'inglese antico,[2] per poi divenire nella antico tedesco marōn.
Leggenda
[modifica | modifica wikitesto]Si crede inoltre che i Mare cavalcassero dei cavalli spettrali nella notte, lasciandoli esausti e sudati al mattino, e che legassero i capelli dei dormienti, che fossero umani o animali. Si pensa che questo mito cercasse di spiegare la plica, una malattia dei capelli conosciuta anche come "treccia polacca".
Anche gli alberi potevano diventare le cavalcature della creatura notturna, tant'è che i contorti pini cresciuti sulle rocce prendono il nome di martallar ("pini del mare") in svedese.
Secondo Paul Devereux, i Mare sono delle streghe reincarnate in animali come rane, gatti, cavalli, cani, uccelli, api e vespe.[3]
Caratteristiche regionali
[modifica | modifica wikitesto]Scandinavia
[modifica | modifica wikitesto]Il Mare appare per la prima volta nella Saga degli Ynglingar del 13th secolo.[4] In essa, il re di Uppsala, Vanlandi Sveigðisson, perse la vita per colpa di un "mara" evocato dalla strega finlandese Huld, incoraggiata dell'ex moglie del monarca Drífa.[5] Nella religione sami esiste un elfo malvagio detto Deattán, che si trasforma in uccelli o altri animali per giacere con gli addormentati e dargli incubi.[6]
Germania
[modifica | modifica wikitesto]Il folclorista tedesco Franz Felix Adalbert Kuhn riporta una poesia dalla Vestfalia che definisce Il Mare come la madre dell'Alp.[7]
Polonia
[modifica | modifica wikitesto]In polacco, zmora/mara è legato a Mara/Marzanna, un demone invernale.[8] Potrebbe essere l'anima perduta di un peccatore o di qualcuno morto senza confessione. Altre possibilità di divenire un Mare sono: essere la settima figlia di una famiglia, avere il nome pronunciato male durante il battesimo, sbagliare una preghierà o avere gli occhi policromatici. Se un promesso sposo non consumasse il matrimonio con la persona scelta, potrebbe trasmormarsi in un mare di notte. Protezioni popolari per scacciare il demone sono: bere caffè prima di dormire, prendere il cappello del mare, tirargli una corda, dormire con una falce, invitare il demone per colazione, cambiare posizione nel sonno e ricoprire di feci la porta.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Harald Bjorvand e Fredrik Otto Lindeman, Über >Schaum< und >Getöse< und Namen von Inseln, Seen und Fjorden, in Historical Linguistics, vol. 120, n. 1, 2007-02, pp. 285–300, DOI:10.13109/hisp.2007.120.1.285. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ (EN) Alaric Hall, The Evidence for Maran, the Anglo-Saxon ‘Nightmares’, in Neophilologus, vol. 91, n. 2, 29 marzo 2007, pp. 299–317, DOI:10.1007/s11061-005-4256-8. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Declan Long, Ghost-Haunted Land, Manchester University Press, 30 ottobre 2017, ISBN 978-1-78499-144-9. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Þjóðólfr of Hvínir, Scaldic Poetry, Oxford University Press, 8 aprile 1976, ISBN 978-0-19-812517-4. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Kemp Malone, Heimskringla: History of the Kings of Norway. Snorri Sturluson, in Speculum, vol. 41, n. 2, 1966-04, pp. 375–379, DOI:10.2307/2851301. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Reino Lento, Englannin maa- ja tonttipolitiikasta, in Finnish Yearbook of Population Research, 1º gennaio 1954, pp. 190–214, DOI:10.23979/fypr.44591. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Karen Jolly, Alaric Hall, Elves in Anglo-Saxon England: Matters of Belief, Health, Gender and Identity, in Anglia - Zeitschrift für englische Philologie, vol. 126, n. 3, 2008-01, DOI:10.1515/angl.2008.072. URL consultato il 12 novembre 2020.
- ^ Michael Ostling, Between the Devil and the HostImagining Witchcraft in Early Modern Poland, Oxford University Press, 1º novembre 2011, pp. 45–60, ISBN 978-0-19-958790-2. URL consultato il 12 novembre 2020.